INTERVISTA A ERNESTO GISMONDI
di Silvano Oldani
Presidente Gismondi vede segnali di ripresa nel nostro paese e il settore dell’illuminazione che ruolo può svolgere?
Deve assolvere il suo compito, “accendere la luce”! Così ci guarderemmo intorno e riusciremmo a vedere che al di là della crisi è possibile ripartire mettendo a frutto alcune esperienze positive maturate nel tempo.
Il suo è un segno di fiducia.
La crisi nel nostro settore è cominciata tre anni fa, adesso si è fermata e ci sono dei segnali di ripresa. Rispetto a quanto fatto fino ad oggi occorre adottare maggiori misure volte ad agevolare e incentivare l’attività delle nostre imprese, il resto non conta.
È vero, ad esempio, che un’azienda come Fontana Arte, che vanta una bellissima storia e rappresenta una parte importante del mercato italiano, ha visto rallentare la propria crescita – anche se non credo per ragioni politiche ma semplicemente legate alla difficoltà oggettive nella gestione imprenditoriale in un Paese come il nostro. Tuttavia passando in Corso Monforte è possibile oggi ammirare il loro nuovo splendido negozio e non penso siano così poco avveduti da investire in modo significativo in un’azienda in difficoltà.
Ricerca e sviluppo di prodotti e tecnologie sono gli ingredienti vincenti in una forte competizione. Che cosa vuol dire competere in un mercato globalizzato? La sua azienda come sta orientando il proprio sviluppo?
Lei parla di innovazione. Di sicuro un’azienda che non investe in tal senso è destinata a scomparire. Sarebbe come se una casa di moda continuasse a presentare gli stessi modelli, potrebbe chiudere più rapidamente di altre. Questo vale anche nel nostro settore, perché siamo sempre alla ricerca di un prodotto migliore, non solo diverso. Ma il punto nodale è un altro: quando non si investe in ricerca – grazie alla quale confido che Artemide possa avere una lunga vita di crescita – non si può creare nulla di nuovo, si può solamente acquisirlo da altri. Faccio un esempio: viene messo sul mercato un nuovo tipo LED mediante il quale si ottiene molta più luce e tutti corriamo ad acquistarlo: abbiamo dato un contributo all’innovazione acquistando quel LED?
AXA Porta Nuova, Milano 2013 ©Beppe Raso
Oggi non solo nel design tutto è progetto. Ogni cosa che abbiamo sotto gli occhi, realizzata, viene intesa come progetto. Il gesto, anche il più semplice, è progetto. Ma non sempre metodo e rigore lo accompagnano. Molte volte si tratta più di stupore, contaminazione, moda, che ricerca…
Per quanto riguarda la luce non vedo cos’altro si possa fare! Bisogna realizzare un progetto, che vuol dire ideare un prodotto che risponda a tutta una serie di necessità, cercando di capire dove queste ultime si trovino, che forma abbiano e se siano necessità reali e non semplice espressione di una moda. I LED non rappresentano certamente una moda, bensì una rilevante espressione tecnologica che, “o si cavalca o semplicemente si è destinati ad andare a piedi”. Indispensabile è comunque progettare.
Ci sono, a suo parere, passaggi nella filiera produttiva delle nostre aziende che il mercato internazionale impone? E da quali non si può prescindere per un prodotto Made in Italy?
Lei ha introdotto una questione importante. Noi ci rivolgiamo all’Asia non solo per vendere, ma anche per acquistare e la nascita e lo sviluppo della tecnologia LED è il frutto dell’impegno di grandissime e capacissime aziende che monopolizzano l’intero mercato. Verificare se esistono prodotti nuovi vuol dire affacciarsi a nuovi mercati che dobbiamo cercare di sensibilizzare ma non è semplice – fondamentalmente per un problema di cultura – convincere un individuo a comprare una lampada di Artemide o di Luceplan se non ne comprende il valore. Oltre naturalmente a un problema di costo.
Tuttavia per le nostre aziende esistono mercati da sviluppare, il problema è come sensibilizzarli e quanto dover spendere per farsi conoscere. Non è facile anche perché i prodotti vengono copiati. In Cina “e dintorni” si trovano tantissime lampade Tolomeo non prodotte da Artemide, copiate malamente dato che chi le realizza non comprende esattamente cosa significhi il design, eppure ne vengono vendute parecchie e questo vuol dire che il mercato non possiede una cultura tale da cogliere le pur evidenti differenze rispetto al prodotto originale.
Nel nostro settore si è convincenti solamente quando come interlocutori si hanno professionisti in grado, quando realizzano un progetto ad esempio di un palazzo o di un grande albergo, di comprendere quali prodotti utilizzare.
Il Suo Gruppo. Due divisioni: architetturale e design, oltre 125 milioni di fatturato, presente in 98 paesi, 24 società controllate, 50 showroom monomarca nelle più importanti città del mondo, 750 dipendenti, di cui 68 impegnati in ricerca e sviluppo, che esporta il 75% della produzione, nel 2008 aveva ricevuto l’autorizzazione per essere quotato alla Borsa di Milano. Un progetto definitivamente nel cassetto o solo in attesa di tempi migliori?
Sui giornali viene regolarmente data la notizia che Artemide sarà quotata in Borsa. Essere quotati in Borsa vuol dire chiedere a qualcuno del denaro per partecipare e contribuire a quello che noi chiamiamo sviluppo e non significa ricevere semplicemente dei soldi in cambio di una parte delle azioni. La quotazione in Borsa offre la possibilità ai futuri acquirenti, speriamo tanti, di investire su un’azienda sana e ben organizzata dove non esistono segreti; naturalmente questo impone a tutti maggiori responsabilità.
Hotel Boscolo Exedra Milano ©Beppe Raso
Questa è una bella notizia…
Anche per me, ma non ci siamo ancora arrivati…
“The human light” è la filosofia di Artemide, promossa da Carlotta de Bevilacqua negli anni ’90, che ha rivoluzionato il modo di immaginare e progettare la luce, di conseguenza anche gli apparecchi, per andare incontro ai bisogni delle persone, al loro benessere, mentre negli anni 2000 crea un altro progetto innovativo capace di combinare la luce con altre componenti tecnologiche così che l’apparecchio diventa polifunzionale e poli sensoriale: una luce personale, quasi privata. Che cosa hanno significato per l’azienda tali ricerche che si sono andate a consolidare con successo nella vostra produzione e nel vostro brand?
Abbiamo capito che il business è rappresentato dalla realizzazione di nuovi prodotti e intuito che occorre continuare a progettare lampade con stile e creatività. Compreso ciò, ci siamo confrontati arrivando alla conclusione che, pur non mancando al nostro interno le capacità di realizzare nuovi apparecchi ancora più belli, occorreva spostare l’attenzione dal prodotto all’utilizzatore. Per l’azienda è stato un passaggio positivo e fondamentale; abbiamo avviato una serie di progetti che hanno portato alla realizzazione di lampade in grado di segnare il tempo, come ad esempio A.l.s.o., un’idea di Carlotta de Bevilacqua, che si basa sul concetto di lampada che non faccia solo luce ma che produca anche benessere a vantaggio di chi la utilizza.
Secondo lei nel progetto di architettura la luce può essere considerata protagonista?
È senz’altro parte integrante del progetto. Purtroppo spesso riscontriamo la presenza di innumerevoli frutti/prese, vengono previsti inizialmente per capire solo in un secondo momento se e come utilizzarli. Non è corretto, nell’architettura la luce funziona se risponde alle necessità e quindi è il risultato di una corretta progettazione.
A suo parere c’è un paese in Europa che ha una maggiore sensibilità verso l’illuminazione pubblica che è parte del paesaggio urbano, arredo urbano, valorizzazione delle città e dei centri storici?
Sì, più di uno. Da noi si pensa all’illuminazione pubblica in un’ottica di sicurezza. Nel Nord Europa invece, soprattutto in Germania, esiste una cultura grandissima per le isole pedonali, ciò significa un importante ambito dell’illuminazione destinata alla vita dei cittadini.
Milano, residenza privata
Il grano non germoglia se non muore, scriveva Pasternak. Fare una lampada, una sedia, vuol dire per molti, sia per chi li crea e soprattutto per chi li acquista, pensare a un oggetto che rimane forse per sempre, un avverbio che indica la ripetizione indefinita nel tempo. Un tempo però che corre molto velocemente. È ancora possibile oggi, nella dinamica sociale, economica e produttiva, che tale continuità del prodotto abbia ancora senso se non per il mercato, almeno per noi stessi?
Artemide vive di questo. L’importanza di un prodotto non è legata alla sua durata ma al suo essere sempre rispondente ai bisogni di chi l’ha acquistato, fino a quando, appunto, non prevalga il desiderio di acquistarne un altro. Ritornando a un concetto per me fondamentale è importante avere clienti sensibili di fronte al design, alla qualità e sicurezza del prodotto, che s’innamorano di una lampada sempre rispondente alle loro necessità.
Piero Castiglioni in un’intervista a LUCE disse che per lui le categorie “progettista illuminotecnico” e “lighting designer” avevano lo stesso significato e che si considerava un elettricista nel campo della luce. Lei è designer, mentore di tanti giovani, imprenditore di successo e tra i leader più influenti a livello internazionale del made in Italy, qual è la categoria professionale in cui si trova più a suo agio, in cui si riconosce?
Sicuramente con quegli architetti che ritengono che la luce sia parte integrante del progetto, che pensano sia inutile fare architettura se poi non si riesce a scegliere luci che la facciano risaltare e che non debbano soltanto illuminare. Sono questi i soggetti nei quali mi riconosco e con cui mi piace ragionare.
Non sono pochi i giovani che vanno all’estero non solo per cercare lavoro, ma anche per studiare. Quale consiglio si sente di dare ai giovani della Scuola di Design del Politecnico di Milano, della Naba, dello IED, ecc. che della professione del design o del lighting designer vorrebbero farne un percorso di vita e professionale?
Noi sosteniamo questi giovani, siamo con loro, abbiamo stipulato dei contratti con il Politecnico di Torino, di Milano, con l’Università di Padova, con altri enti di ricerca che finanziamo tutti gli anni, offriamo borse di studio per i corsi sull’illuminazione che si svolgono a Milano Bicocca.
Avete in Artemide oltre sessanta tra tecnici e ricercatori…
È chiaro che dobbiamo avvalerci di persone qualificate; purtroppo non sono così tante e noi riserviamo loro molta attenzione. Un reparto è dedicato esclusivamente alla ricerca in continuo collegamento con il mondo delle università perché quello è l’ambito creativo. Un ambito che cerchiamo in qualche modo di finanziare e in cui crediamo molto.
In questi rapporti culturali, associativi fare sistema nel nostro Paese forse potrebbe anche voler dire mettere mano alla diversificazione delle associazioni di settore che oggi riflettono una suddivisione storica in superate aree produttive forse da reinterpretare sia per un’esigenza di maggiore forza di fronte agli stakeholder sia per i profondi cambiamenti del mercato, soprattutto per l’affermarsi delle nuove tecnologie, i LED in particolare. Cosa ne pensa? Mi riferisco ad ASSIL, Federlegno e Euroluce associazioni che potrebbero fare molto più massa…
Una situazione che si è creata quando nell’ambito del Salone del Mobile si è capito che in una casa non c’è solo un tavolino, un letto, ma vi sono anche apparecchi di illuminazione. È nata così Euroluce, che tuttavia viene poco considerata nella comunicazione relativa al Salone del Mobile e alla sua Associazione di riferimento; non hanno ancora compreso – come invece hanno fatto in modo egregio i tedeschi con Light & Building – che la luce è presente in tutti i settori e che se si vuole crescere occorre presentarsi in altro modo.
Il mondo della luce italiana è forte, però oggi è forte anche la competizione globale e pertanto anche a livello di associazioni avrebbe maggior peso fare squadra…
Sono d’accordo. Lei usa sempre la parola globale, noi con la globalità ci confrontiamo ogni giorno e dunque non ci resta molto tempo da dedicare alle logiche associative. Ci sono presidenti che passano tranquillamente da una posizione all’altra, sono sempre gli stessi, sembrano immortali, hanno somiglianze con i politici, devono esistere, però possono anche essere sostituiti.
Skydro ©Artemide
A suo parere l’età della pensione andrebbe abolita? In molte medie aziende italiane il tema del ricambio generazionale è un passaggio delicato, lei in un’intervista a Il Sole24 ore ha dichiarato: “dobbiamo avere il coraggio di dare spazio solo ai migliori, indipendentemente dai legami familiari”. È un pensiero di molti e un’azione di pochi?
Alcuni dei nostri collaboratori lavorano da anni in Artemide e adesso li dovrei mandare a casa?
Certo il mondo è fatto così. Mi hanno chiamato come vice presidente di Confindustria all’epoca di Pininfarina e ho potuto sperimentare sul posto che, a quei livelli, quando non sei più rieleggibile, la prassi è quella di trovarti un altro incarico importante affinché tu possa continuare ad esistere. Non è quindi un discorso di parentela, la questione è che siamo sempre gli stessi e passiamo da una carica all’altra. Mi hanno attribuito la presidenza del CNEL per svolgere attività di studio e ricerca ma una volta conclusosi anche questo incarico dove mi collocheranno? Personalmente propendo per l’azienda dove c’è anche molto da fare!
Molti decenni fa nelle grandi famiglie industriali si raccontava dire che il figlio intelligente andava in fabbrica, l’altro era pronto per fare vita associativa…
Se fosse solo questo, la selezione sarebbe naturale e condivisibilissima, il problema è che bisogna imparare il mestiere. Alcuni lo imparano egregiamente altri meno.
La pubblicità di Artemide crea una forte comunicazione con i lettori: lei fotografato da solo, o con i suoi collaboratori, o loro in “prima fila”. Il prodotto non è al centro, al centro ci sono uomini e donne testimoni di una storia, quella della sua azienda. È lei l’artefice di questa idea o è stata l’agenzia di pubblicità a suggerirla?
Un po’ tutte queste cose, direi che c’è un’assonanza di pensiero, di intenti e di fare con chi ci cura la comunicazione esternamente. È chiaro che la comunicazione per noi è estremamente importante e pensiamo che quella cui lei fa riferimento ben rappresenti la nostra azienda.
LUCE n. 307 – 1/2014